Ecuador & Galàpagos: leggi il diario

Con il pullman raggiungiamo piazza Indipendenza, il punto d’incontro del potere laico e religioso della città: è qui che sono situati il palazzo presidenziale, il municipio e la maestosa cattedrale.Nel centro della piazza vengo attratta da una statua di una donna, simbolo dell’indipendenza, ai cui piedi c’è un condor, simbolo dell’Ecuador, che scaccia un leone ferito che rappresenta la Spagna: la libertà di una nazione raffigurata allegoricamente. Era il dieci agosto del 1809: libertà grazie a Simon Bolivar. Girovaghiamo per le strette viuzze che ora salgono e ora scendono: un vero e proprio labirinto dove si ha la sensazione di essere tornati, come per incanto, indietro nel tempo. Visitiamo la strabiliante chiesa della Compagnia di Gesù, una chiesa barocca, il cui interno è completamente rivestito di oro con elementi di cultura indigena molto significativi e, subito dopo, il monastero di San Francesco, la più antica chiesa dell’Ecuador, ricco di stucchi e sculture lignee. Queste chiese, dall’interno non certo sobrio, sono un classico esempio delle scuole barocche di Quito che hanno fuso influenze estetiche  spagnole, arabe, indigene e fiamminghe.


Osservo intorno e cerco di rubare con il mio obiettivo qualche immagine di vita quotidiana: donne con i loro costumi andini,  ragazzini lustrascarpe, carretti con gelati colorati e banchetti con santini sono dappertutto. La visita della città si conclude con un panorama dal promontorio del Panecillo: un fiume di case dall’enorme varietà cromatica che si perde all’orizzonte.  In cima una statua alata  della Vergine  che guarda in modo protettivo la città dalle lussureggianti colline: protegge la pacha mama dalla rabbia dei vulcani.

Nel pomeriggio raggiungiamo il punto a latitudine zero a Calacalì dove ci sono tantissime case di canne e fango: ci troviamo a cavallo del nostro pianeta. Nel sito la nostra guida ci fa visitare una tipica casa indios e ci illustra come  i nativi dell’Amazzonia, fino agli anni 50, mozzavano le teste dei nemici e le conservavano come trofei, dopo averle ridotte ad un pugno. Privata del suo contenuto interno, la testa veniva immersa in un miscuglio di olio e di urucu e poi lasciata seccare al sole; infine la bocca veniva cucita e i capelli annodati con delle cordicelle. Questo rito, che veniva accompagnato da danze, scaturiva non da una furia omicida, ma da una forma di spiritualità molto profonda: solo così lo spirito del nemico si sarebbe placato. Questi riti ora non si fanno più, ma… sarà vero?
Ora la guida del posto, un ragazzo dall’aspetto molto convincente,  fa degli esperimenti che sanno di leggenda metropolitana; per primo ci fa notare come cambia in un lavandino il senso del vortice dell’acqua a secondo se siamo a nord o a sud della linea dell’equatore. Ci divertiamo tanto mostrando grande meraviglia, ma molti di noi sanno bene che la forza di Coriolis dovuta alla rotazione terrestre è molto piccola e agisce solo nei vortici che durano nel tempo: il vortice dell’acqua del lavello che scende giù non è certamente un ciclone che nell’emisfero boreale ruota per davvero in senso opposto a quello dell’emisfero australe. Stiamo al gioco e cerchiamo, con una certa convinzione, di mantenere in equilibrio un uovo su un chiodo ovviamente senza riuscirci: l’uovo sotto il sole dalla mattina è diventato sodo, questa è l’osservazione di alcuni di noi. Camminiamo ad occhi chiusi sulla linea dell’equatore perdendo ovviamente l’equilibrio e convinti di aver perso un chilo di troppo: le nostre battute ci hanno fatto vivere momenti indimenticabili con i nostri compagni di viaggio. Avrei voluto dire al ragazzo che le regole del calcio sono uguali in ambedue gli emisferi, ma ho preferito tacere: ad alcuni turisti, per questi esperimenti, avevo letto  tempo fa, hanno spillato diversi dollari.Ci fermiamo, giusto per una rapida fotografia, alla mitad del mundo turistica con il suo gigantesco monumento all’equatore. La sera, ritornati in hotel, sistemo in valigia il mio trofeo: una testa mozzata, per fortuna non vera, che terrà compagnia alle mie maschere.

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