Il diario del nostro viaggio in Vietnam e Cambogia

Verso la Cambogia

Lasciamo Saigon e con un bus raggiungiamo un imbarcadero: ecco il primo contatto col Mekong, dove navigheremo per oltre cinque ore e avremo modo di osservare il suo mitico delta pieno di vita: una vita fatta di villaggi immersi nell’acqua. Il Mekong, il fiume dei nove dragoni, nasce in Tibet e attraversa la Cina, La Birmania, Il Laos, La Thailandia, la Cambogia e il Vietnam, dove forma l’enorme delta che è una delle zone più densamente popolate. E’ proprio qui che convivono pacificatamente diverse etnie che si dedicano prevalentemente alla produzione del riso di cui il Vietnam è il primo esportatore nel mondo.
La nostra guida, già cambogiana, sul bus ci parla della guerra e di come, dopo pochi decenni dalla sua fine, il paese è riemerso dalle tenebre in cui era precipitato e vuole ripartire tentando di dimenticare il suo passato proiettandosi verso il futuro con grande slancio. I suoi figli di cui è fiero e orgoglioso, non devono soffrire e pretende che non pronuncino la parola “difficoltà”. Crede all’inferno sulla terra, il paradiso è il sorriso sulla terra. Si sa che dimenticare è più facile di ricordare, ma io sono convinta che quest’uomo non ha dimenticato. Ne sono certa, lui e la sua famiglia d’origine hanno tanto patito e sicuramente quegli anni hanno lasciato segni indelebili nel suo cuore, ferite profonde che non si possono rimarginare.
In questa prima navigazione nel Mekong comincio a scrutare la vita lungo le sue sponde tra le palafitte di bambù, le costruzioni a torri e le chiatte: una vita povera ma dignitosa. Le barche più grosse sono piene di mercanzie, in particolare frutta e verdura: aspettano i compratori che si avvicinano con le loro imbarcazioni.  La popolazione vive con poco, lavora e non patisce la fame, ma sicuramente soffre per la sua povertà.
Visitiamo un villaggio, dove producono le caramelle moo e altri dolcetti con il riso che ci vengono offerti al nostro passaggio. Un ragazzo con un pitone al collo che sfoggia con grande orgoglio ci vuole offrire un whisky con cobra annesso. Non apprezziamo tanto la cosa e ci limitiamo a osservare le infinite bottiglie con serpenti e scorpioni. Questa bevanda, secondo una credenza popolare, è in grado di curare diverse patologie in quanto lo spirito del serpente entrerebbe in chi beve conferendogli forza e resistenza. Sarà vero? Siamo tentati a comprare una bottiglia per fare uno scherzo ad alcuni nostri amici, ma vista l’esperienza cinese del sorgo, con i testicoli del cervo, desistiamo. Che ridere! E’ qui che vengo attratta da un vecchietto seduto davanti l’uscio della sua casetta: quell’espressione non la dimenticherò mai. Per pochissimi attimi mi sono sentita piccola, confusa e vulnerabile: un’aliena in questo posto. No comment. Mi allontano subito e dedico la mia attenzione a una famigliola la cui madre dà da mangiare alla sua piccolina mentre la figlioletta più grande, con un delizioso caschetto nero, giocherella, ahimè, con un cellulare.
Con la tipica canoa e con i nostri cappellini a cono ci inoltriamo in uno stretto canale tra una fitta vegetazione. Il verde è brillante, l’acqua torbida e in alto, specie in alcuni punti, s’intravede, a stento, l’azzurro del cielo. Sono in un mondo selvaggio che mi appare sicuro e la mente si rifiuta di immaginare soldati in perlustrazione e serpenti arrotolati tra le mangrovie. Chiudo gli occhi: mi sembra di essere sola nel silenzio di una fitta foresta tropicale e mi sento beata tra una natura benevola. E’ stata una giornata intensa, la sera arriviamo a Chau Doc dopo essere stati in un traghetto stracarico di motorini.
Erano gli anni 70 quando sognavo di esplorare il Mekong, una volta finita la guerra. Immaginavo quel fiume piatto e immenso e quel caldo soffocante. Volevo solcare quelle acque che, attraverso i programmi televisivi, mi avevano stregato. Quel sogno è diventato realtà e, durante la navigazione di oggi, mi è capitato spesso di avere la sensazione di aver vissuto questa esperienza: una sensazione di dejà vu che mi fa rabbrividire.
A letto, la sera rifletto: sto per lasciare il Vietnam. Mi addormento ricordando il pranzo in un villaggio e i canti e le musiche finali di commiato. I musicisti suonavano strumenti acustici e delle ragazze, con i loro tradizionali abiti, cantavano soavemente. Quelle dolci melodie rapiscono il cuore e la mia mente: vorrei fermare il tempo.

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